La scomoda e vincente eredità indoeuropea

L’escursione della scorsa settimana ci ha portati sul Monte Pallano, dove abbiamo visitato le antiche mura megalitiche costruite dagli italici nel IV secolo avanti cristo. Parlando del popolo dei Frentani e dei Carricini, gli antichi abitanti della regione, abbiamo ragionato sulla loro natura bellicosa, di fiera stirpe guerriera, che tanto diedero in seguito alle legioni romane in termini di truppe, arte militare e ferocia combattiva.
Notando come questo popolo avesse scelto un’aspra montagna per costruire la propria città è scaturita la legittima domanda: “ma le prime civiltà non si svilupparono sui fiumi e sulle coste?”
In effetti la scelta dei fiumi era fondamentale per i popoli di agricoltori, che avevano bisogno di acqua e terreni sciolti e fertili per le coltivazioni. Allo stesso tempo le civiltà agricole si sviluppavano in contesti pacifici, con popoli dediti al commercio, all’artigianato e all’agricoltura.
I popoli di allevatori invece sono sempre stati bellicosi, in lotta tra loro per il controllo dei pascoli e pesantemente armati.
Andando successivamente a rinfrescare l’argomento mi sono nuovamente imbattuto in studi e teorie molto affascinanti sull’origine di questi popoli italici guerrieri e, in ultima analisi, sulle nostre origini italiche.
Ebbene dobbiamo tornare indietro nel tempo di circa 5000 anni per avere indizi concreti, quando cioè appaiono nell’archeologia italica gli oggetti in bronzo, l’allevamento degli ovicaprini, l’uso del cavallo, l’utilizzo della lingua osco sabellica, le armi e sopratutto le sepolture a circolo e a tumulo. E’ l’arrivo della cultura Kurgan e delle migrazioni indoeuropee. Popoli che dalle steppe della zona sarmantica, tra Mar Nero e Mar Caspio, migrarono a più ondate sia verso oriente che verso occidente.
Le società matrilineari neolitiche
In precedenza, in età neolitica, l’Italia era abitata da protoeuropei, bassi e robusti, cacciatori raccoglitori e in qualche caso agricoltori. Usavano strumenti di pietra e soprattutto erano organizzati in società matriarcali.
Dagli studi archeologici appare evidente come nel tardo paleolitico e nel neolitico in Europa esisteva un forte culto della terra, intesa come generatrice di vita e come entità femminile, fertile e dispensatrice di cibo e acqua.

Rappresentazione della Dea Madre in una statuetta anatolica

La famosa Venere di Willendorf, risalente al Paleolitico (circa 25000 anni fa)
In questo periodo regnava la pace tra i popoli, dediti a scambiarsi oggetti di terracotta, utensili e a considerare la terra come la madre di tutti i esseri viventi. Le donne erano ritenute capaci di procreare a prescindere dagli uomini. Vere e proprie generatrici di vita, come la stessa madre terra. I villaggi erano costruiti vicino ai corsi d’acqua e non erano fortificati. Negli scavi archeologici non vi è traccia di armi!
Le donne, in quanto madri, erano preminenti nella gerarchia sociale. Al contrario l’uomo non aveva un legame diretto con la procreazione, tanto che non era riconosciuto come padre, ma semplicemente come membro della comunità. Questo fa supporre che non esistessero coppie e matrimoni, e che le donne fossero completamente svincolate nel comportamento sessuale e riproduttivo.
Questo è uno degli aspetti cruciali della rivoluzione patriarcale che arrivò con l’età del bronzo e con i popoli pastori indoeuropei.
Arrivano gli Indoeuropei
In ondate migratorie a ripetizione di popoli di gente alta e slanciata, cavalieri con armi di metallo con al seguito capre, pecore, bovini e carri dotati di ruote fanno la loro irruzione dapprima nell’Europa centro orientale e verso l’Asia centrale, per poi diffondersi in tutta Europa, in Medioriente, in Persia e fino alla Valle dell’Indo. Provengono dalle pianure sarmantiche, a nord del Mar Caspio e Ma Nero. Vaste distese pianeggianti ed erbose dove il cielo sembra incombere su tutto.
Con loro portano morte e distruzione, Scavi archeologici dimostrano eccidi e distruzioni a spese dei popoli protoeuropei neolitici. In molti casi vi si mescolano imponendo però la propria cultura e la propria economia. Ad esempio a Tollense, in Germania, sono state trovate tracce di una furiosa battaglia con centinaia di scheletri.

Punta di freccia in selce conficcata in un femore durante la battaglia di Tollense (Germania) durante l’età del bronzo

Un cranio della battaglia di Tollense. Evidenti le ferite mortali sulla calotta cranica.
Cosa portano in dote questi invasori? Portano i cavalli e altro bestiame di grande utilità, come i bovini e gli ovicaprini, portano una nuova lingua, portano la sepoltura a tumulo e soprattutto portano armi di bronzo e una concezione sociale e spirituale completamente diversa.
Essi infatti adorano un Dio Padre, posto in cielo e non sulla terra, onnipotente e onnipresente, capace di generare pioggia, vento, fulmini e tuoni. Una divinità maschile che favorisce il culto della forza, della violenza e della prevaricazione. Nasce il culto della guerra, con tanto di dei guerrieri da venerare. La forza fisica e la capacità di sottomettere i popoli diventano un elemento fondamentale e così i capi guerrieri che incarnano questo concetto. In definitiva portano la società patriarcale come l’abbiamo conosciuta in occidente fino a tempi recenti e ancora viva in molte culture occidentali e orientali. L’uomo possiede la donne, i figli, il bestiame e le terre e ne dispone come meglio crede. All’uomo vengono dedicati i sepolcri monumentali, dove vengono posti, insieme al corpo, anche le armi, gli oggetti legati alla virilità e spesso anche il proprio cavallo!
Con loro portano anche una nuova lingua, il Protoindoeuropeo.
La lingua come rivelatrice delle origini
Quando nel XVI secolo i mercanti europei iniziarono a raggiungere le sponde dell’India in modo sistematico per promuovere commerci tra oriente e occidente, si accorsero di una cosa ben strana: molti vocaboli delle lingue europee, inglese, tedesco, italiano, spagnolo, portoghese, francese…erano curiosamente simili a parole sanscrite. Qualche esempio: Oca si dice “anser” in latino, “gans” in tedesco antico e “hamsa” in sanscrito: Pecora si dice “ovis” in latino e “avis” in sanscrito; “madre” si dice “mater” in Latino, “mouter” in antico germanico e “mata” in sanscrito….
Se spesso siamo abituati a indicare nel latino la matrice della somiglianza tra le lingue romanze e le lingue germaniche dovremmo ricrederci: in molti casi non furono i romani a esportare i vocaboli, ma essi erano già simili in precedenza, scaturiti dalla comune lingua protoindoeuropea che accomunava tutti gli idiomi dall’Europa occidentale al medioriente, fino all’India.
Non fa eccezione la lingua osca e i dialetti sabellici parlati nell’odierno Abruzzo dai popoli che abitavano il nostro Monte Pallano. La lingua osca aveva degli elementi comuni al latino e al greco.

Guerrieri indoeuropei dell’Età del Bronzo (5000-3000 a.c.)
Il Dio Indoeuropeo capostipite delle divinità classiche e del Dio del monoteismo
E’ chiara a questo punto la somiglianza della cultura religiosa moderna con quella importata con le migrazioni indoeuropee. Dallo Zeus greco, al Giove romano, lo Yahweh ebraico, al Dio Padre cristiano all’Halla musulmano, si assiste all’evoluzione locale del dio padre importato dalle steppe asiatiche, residente nei cieli, onnipotente, geloso, misericordioso e vendicativo.
Anche i nostri antichi italici avevano un pantheon che includeva:
- Evklúí Patereí, corrispondente a Mercurio
- Futreí Kerríiaí, corrispondente a Persefone
- Anter Stataí, corrispondente a Stata Mater, la levatrice che aiuta le donne a partorire
- Ammaí Kerríiaí, corrispondente a Maia, dea della primavera
- Diumpaís Kerríiaís, ossia le Ninfe delle sorgenti
- Liganakdíkei Entraí, ossia la divinità locale della vegetazione e dei frutti
- Anafríss Kerríiuís, ossia le Ninfe della pioggia
- Maatúís Kerríiúís, ossia la divinità locale del parto e della rugiada
- Diúvei Verehasiúí, ossia Giove Virgator, che presiede l’alternanza della stagioni
- Diúvei Regatureí, ossia Giove Pluvio
- Hereklúí Kerríiúí, ossia Ercole
- Deívaí Genetaí, ossia Mana Ganeta
- Pernaí Kerríiaí, ossia Pale, la dea dei pastori
dove Diuvei era la divinità maschile preminente.
Anche nella Tabula rapinensis, ritrovata nella Grotta del Colle, sulla Majella, scritta in dialetto marrucino, si fa riferimento a “Iouias patres” – Giove padre, dio di chiara origine indoeuropea.
Oppidum si Oppidum no
In tutta Europa si diffusero le necropoli Kurgan, con tombe a tumulo o a circolo e le città fortificate (Oppidum) simili tanto tra le tribù celtiche, quanto italiche, slave e greche.

Tomba a circolo nella necropoli di Fossa (AQ)
Gli Oppida erano villaggi fortificati, posti su alture e difesi da mura, a volte ciclopiche e megalitiche, come sul Monte Pallano appunto. Questo tipo di insediamento era quindi funzionale alla difesa dei pascoli, del controllo del territorio con punti di osservazione sopraelevati. Tutti elementi tipici delle civiltà guerriere. Gli italici appenninici (Marsi, Marrucini, Frentani, Peligni, Umbri, Carricini, Pentri…) allevavano pecore e bovini, avevano con loro i capostipiti delle razze canine da pastore come il pastore abruzzese. Il tutto era molto simile a ciò che avvenne nei luoghi della grande storia, ad esempio nella Grecia delle città stato in guerra tra loro, Micene, Sparta e Atene.

Le mura megalitiche di Arpino (Lazio)

Le mura megalitiche di Monte Pallano (Abruzzo)
I nostri progenitori italici, di stirpe e lingua indoeuropea sottomisero e si mescolarono con i nativi neolitici e diedero vita a secoli di guerre per il dominio della penisola. I vincitori di queste guerre intestine furono i romani, ma questa storia la conoscete già.
L’eredità Indoeuropea
Cosa rimane oggi di queste migrazioni? Direi molto, forse troppo. Molti elementi sono sicuramente stati di grande impatto per il progresso europeo. La ruota e la lingua scritta su tutti.
Altri elementi individuano delle criticità sociali con le quali combattiamo ancora oggi. Scegliendo le peggiori ne isolerei due: il patriarcato, oggi residuale e individuabile nel maschilismo, ancora presente in molte realtà occidentali e fortemente radicata in oriente; e il culto della violenza e delle armi, oggi idolatrata nel cinema, nella letteratura, nei fumetti, nello sport e persino nei cartoni animati.
Decisamente un’eredità pesante, considerato che questa cultura l’abbiamo poi esportata in tempi recenti anche nelle Americhe, in Australia, e in Africa e presso tutte quelle società che mantenevano un’impostazione egalitaria.
Qualche riferimento bibliografico per chi vuole approfondire gli argomenti:
- Jared Diamond – Armi acciaio e malattie – Einaudi
- Marija Gimbutas 1980. “The Kurgan wave #2 (c.3400-3200 BC) into Europe and the following transformation of culture”, Journal of Indo-European Studies 8: 273-315.